Mario Vargas Llosa su la Repubblica dell’11/05/01 a pagina 55., 11 maggio 2001
«Lo scrittore Raúl Salmón lavorava tutto il giorno: era una specie di fabbrica produttrice di romanzi destinati alla radio
«Lo scrittore Raúl Salmón lavorava tutto il giorno: era una specie di fabbrica produttrice di romanzi destinati alla radio. E non scriveva soltanto, era anche attore, interpretava gli eroi, ed era al contempo il regista dei suoi romanzi radiofonici. A questo personaggio accadde qualcosa che assomiglia a un romanzo radiofonico. Le storie dei suoi romanzi erano sempre molto truculente, piene di sentimentalismi, di fatti straordinari. Un giorno, forse per lo stress dovuto all’eccesso di lavoro, le storie cominciarono a confonderglisi. Lui non se n’era accorto, ma la radio sì, perché erano cominciate ad arrivare telefonate di ascoltatori che manifestavano la loro perplessità rispetto a certe incongruenze. Un tizio, ad esempio, aveva chiamato dicendo che il dottor Rodriguez del romanzo radiofonico delle sette, che era gravemente malato, praticamente moribondo, era comparso all’improvviso allegro e a passeggio, senza che si capisse quando e come si fosse curato. O storie più assurde: la principessa Elena del romanzo delle quattro era comparsa in quello delle cinque, non si capiva come fosse potuta saltare da una storia all’altra. Si trattava di incongruenze varie, alcune forse non così grottesche, ma i proprietari della radio furono costretti ad avvertire Raúl Salmón che le storie gli si stavano confondendo. Allora lui fece qualcosa di drammatico: cominciò a riempire le sue storie di catastrofi. C’erano terremoti, incendi, naufragi e gli aerei cadevano, per far scomparire i personaggi e ricominciare daccapo, visto che - a causa dell’esaurimento nervoso - non ricordava tutte le storie. Non so se sto esagerando, come capita quando si trattiene un’immagine nella memoria, sta di fatto che era proprio vero che gli si mescolavano le storie e alla fine Raúl Salmón fu costretto ad abbandonare il lavoro alla radio, e io lo persi di vista» (Mario Vargas Llosa).