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 2000  dicembre 11 Lunedì calendario

La più antica testimonianza dell’attività vetraria in Venezia risale all’anno 982: in un documento è citato un "Dominicus phiolarius", ossia fabbricante di fiole (bottiglie)

La più antica testimonianza dell’attività vetraria in Venezia risale all’anno 982: in un documento è citato un "Dominicus phiolarius", ossia fabbricante di fiole (bottiglie). Nel 1090 compare un "Petrus Flabianicus" che esercita la medesima attività. Se ancora non si sa come e da quale parte l’arte vetraria giunse a Venezia, è certo che fin dal 1271 fu redatto un primo "Capitolare" dell’Arte Vetraria dove si vietava l’importazione di vetri stranieri e si proibiva a vetrai non locali di esercitare a Venezia. Per salvaguardare l’attività dal pericolo di incendi, le fornaci furono trasferite, nel 1291, nell’isola di Murano. E dal 1295 entrarono in vigore severe disposizioni per impedire l’emigrazione di maestri vetrai. A Murano, ribattezzata da Goethe "la piccola Venezia", arrivarono in seguito i vetri islamici e quelli a smalto. Quindi, in epoca rinascimentale, furono prodotti i primi vetri scuri e il cristallo, così chiamato perché somigliante al cristallo di rocca. Nel Cinquecento nacquero i vetri "mimetici", che imitavano pietre dure (soprattutto agata e calcedonio). A partire dal 1670, il mercato fu conquistato dal cristallo di Boemia, un vetro calcio-potassico che mise in grave crisi i prodotti veneziani sui mercati europei. Non restò che tentarne l’imitazione. E così avvenne. Nel 1711 Giovanni Sola ottenne dalla Serenissima il permesso (e il privilegio) di poter importare dalla Boemia una pasta di vetro già fusa da utilizzare nella miscela di quello realizzato a Murano, in modo da renderlo più trasparente. E qualche anno più tardi Giuseppe Lorenzo Briati ebbe l’autorizzazione per far arrivare maestri vetrai boemi. La crisi fu superata lentamente, ma la caduta della repubblica, nel 1797, segnò il crollo della vetreria veneziana che riuscì a riprendersi soltanto a metà Ottocento. Alla fine del XIX secolo, con la concorrenza di Tiffany, Lalique e Daum Gallé, fu di nuovo crisi (superata una volta trasformata l’attività artigianale a livello industriale).