Geminello Alvi Corriere della Sera 24/12/00 pagina 31, 24 dicembre 2000
Ogni volta che attraversava una piazza, Hans Christian Andersen tremava tutto, anche se qualcuno lo teneva per mano
Ogni volta che attraversava una piazza, Hans Christian Andersen tremava tutto, anche se qualcuno lo teneva per mano. Ebbe mal di denti per tutta la vita: ciononostante non volle mai andare dal dentista. Temeva di essere avvelenato con un caffè e infettato a morte da un dito sbucciato. Una volta, a Francoforte, ricevette come resto una banconota scaduta. Scrisse una lettera alle autorità, ma poi se ne pentì, temendo di nuocere al cameriere che gli aveva rifilato la banconota. Credeva nella predestinazione, ogni anno comprava un biglietto della lotteria danese, e ogni anno si arrabbiava per la mancata vittoria: «Mi sento triste, la mia stella mi ha abbandonato». Non ebbe mai una donna: «Sono brutto e resterò povero, dunque nessuno mi sposerà» (quando morì, aveva annodata al collo una busta con una lettera d’amore, scritta a venticinque anni per una Riborg Voigt che gli aveva preferito farmacista). Aveva il sogno di fare il ballerino, a Copenhagen danzò davanti a Madam Schall, ballerina reale. Lei, inorridta, lo mandò via. Prese lezioni di canto dal tenore Siboni, fallì anche come cantante. Nel 1821 recitò la parte di un principe in un balletto del Teatro Reale. Fu iscritto a pubbliche spese al liceo, poi all’università. Prese a scrivere fiabe, divenne l’autore più letto dai bambini. La poetessa inglese Browning: «Andersen, il danese, è venuto a trovarmi ieri. E’ molto schietto e infantile. Mio figlio Pen, dodicenne, dice di lui che è brutto come un anatroccolo, ma la sua anima è quella di un cigno».