Roberto Beretta su Avvenire del 28/12/2000 a pagina 21., 28 dicembre 2000
Il culto dei piccoli martiri della furia di Erode (i Santi Innocenti) non risulta molto diffuso nei primi secoli, anche se il resoconto di un pellegrino del VI secolo in Terrasanta ricorda una "tomba degli Innocenti" presso Betlemme
Il culto dei piccoli martiri della furia di Erode (i Santi Innocenti) non risulta molto diffuso nei primi secoli, anche se il resoconto di un pellegrino del VI secolo in Terrasanta ricorda una "tomba degli Innocenti" presso Betlemme. Tuttavia la memoria dei piccoli uccisi entra nei calendari liturgici, prima in Africa e poi in Italia. Nello stesso periodo affluiscono in Europa le prime reliquie dei Santi Innocenti. Si discute però sul numero dei bambini uccisi: san Gerolamo si mantiene sul vago («migliaia»), la liturgia greca parla di «quattordicimila», un martirologio del IX secolo arriva addirittura a 144mila (ricalcando un passo dell’Apocalisse). I moderni propendono per cifre molto più basse, basate sulla natalità annua in un villaggio come Betlemme: per il Ricciotti le vittime sarebbero state da 20 a 25, secondo altri 40 o 65 o 80, per altri ancora tre le 10 e le 15. Il vero culto comincia intorno all’XI secolo, e prosegue fino all’età barocca. S’intitolano cappelle ai piccoli santi di Betlemme, a Parigi il cimitero detto "degli Innocenti" sorge nei pressi di una chiesa dove si conserva il corpo di uno dei bambini uccisi. Tra i pittori, s’ispirano alla strage Bonanno Pisano, Duccio di Boninsegna, Giotto, il Ghirlandaio, Raffaello, il Tintoretto, Guido Reni. Secondo Tommaso d’Aquino, però, le vittime di Erode non meritano l’aureola, perché - essendo inconsapevoli - a rigor di termini non possono essere definite martiri (questo giudizio si riflette nella liturgia, che in passato, per il giorno della loro festa, prescriveva il viola penitenziale invece del rosso trionfante). I Santi Innocenti fanno comunque parte della "scorta d’onore" di Gesù Bambino. Per la cultura antropologica occidentale stanno nel mezzo delle "12 notti" che separano il 25 dicembre dall’Epifania (una tradizione antichissima che delimitava lo scarto tra l’anno solare e l’anno lunare e che fin dai Greci era considerata sacra). In questo periodo di sospensione della storia le anime dei defunti potevano aggirarsi liberamente nel mondo: era un tempo magico e di trasgressione dalle norme, come nei Saturnali romani, quando i padroni servivano a tavola gli schiavi. Tracce di quest’usanza si ritrovano nel Medioevo: il 28 dicembre, canonici e preti lasciavano il posto ai chierichetti, e si eleggeva un "episcopellus" (un fanciullo "vescovo") che per quel giorno sedeva in cattedra, con mitra e pastorale, e benediceva il popolo (uso che poi degenerò e fu quindi vietato da sinodi e concili).