Livia Manera IO Donna 6/1/2001 alle pagine 42-44, 6 gennaio 2001
John Cheever scriveva i suoi romanzi con indosso la sola biancheria intima. Hemingway riusciva a scrivere solo stando in piedi
John Cheever scriveva i suoi romanzi con indosso la sola biancheria intima. Hemingway riusciva a scrivere solo stando in piedi. A Kent Haruf ("Canto della pianura") piace scrivere «nella stanza del carbone, nel seminterrato della mia casa nell’Illinois, cieco e con l’aiuto di una vecchia macchina da scrivere. Oscuro la vista per vedere meglio, in modo diverso. Mi tolgo gli occhiali, mi calo un cappello a calza sopra gli occhi e batto a macchina la prima stesura del romanzo a spazio uno, sulla vecchia carta gialla che usavano un tempo i cronisti. In quest’oscurità metaforica cerco di non farmi distrarre dalla sintassi o dalla punteggiatura, che impedirebbero il fluire della storia. Finito il lavoro apro gli occhi e contemplo sul muro la mappa della Holt County, la contea immaginaria dove vivono i personaggi dei miei romanzi. Accanto a questa, fogli di carta marrone su cui annoto le storie in corso». La scrittrice sudamericana Eudora Welty attaccava con gli spilli pezzi dei suoi racconti incompiuti sul tavolo della sala da pranzo, come si fa per i vestiti. L’americana Joyce Carol Oates, invece, per stimolare la sua immaginazione corre: «E’ come se correre mi permettesse idealmente di espandere la mia conoscenza e vedere ciò che scrivo come un film o un sogno». Richard Ford, autore di ’Indipendence Day’, rinnova la sua ispirazione concedendosi lunghe pause, Philip Roth scrive in totale solitudine. Georges Simenon impiegava sette giorni per scrivere un’avventura di Maigret (cinque per la stesura e due per la revisione). Durante la stesura non metteva il naso fuori di casa, non vedeva nessuno e mangiava solo tacchino. La sera del settimo giorno si concedeva una passeggiata nella campagna attorno a casa, fermandosi soltanto quando vedeva, ferma al lato della strada, una Rolls Royce piena di donne nude. Tutte professioniste che lui stesso contattava per concedersi quello che definiva «un premio, senza il quale la vita dello scrittore non sarebbe vita».