Avvenire del 10/1/2001 a pagina 19; Simona Serafini su Avvenire del 17/1/2001 a pagina 25; Ulderico Munzi sul Corriere della Sera del 17/1/2001 a pagina 35., 10 gennaio 2001
A pochi giorni dall’uscita nelle librerie francesi, "Cette aveuglante absence de lumiere (Questa accecante assenza di luce)", il nuovo romanzo dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, sta suscitando aspre polemiche
A pochi giorni dall’uscita nelle librerie francesi, "Cette aveuglante absence de lumiere (Questa accecante assenza di luce)", il nuovo romanzo dello scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, sta suscitando aspre polemiche. Il libro racconta una delle vicende più drammatiche della storia recente del Marocco: la prigionia a Tazmamart, in un carcere segreto in pieno deserto, dei 58 ufficiali implicati nel golpe del 1971 contro re Hassan II. Lo scrittore è partito dalla testimonianza di un sopravvissuto, Aziz Binebine, al quale ha ceduto la metà dei diritti letterari del romanzo (ma in questi giorni Binebine lo ha accusato di non aver rispettato l’accordo). Ahmed Marzouki, uno dei 27 superstiti, ha accusato Tahar Ben Jelloun di sfruttare il dolore degli ex prigionieri («Tazmamart è un oceano di dolore e tenebra, non è lecito a chiunque di trarne profitto»). Sposato e padre di due bambini, Marzouki ha scritto a sua volta un libro-testimonianza ("Tazmamart, cellula 10"): in copertina, il disegno di una botola, fatto da uno dei suoi compagni di prigionia, morto proprio in fondo a una botola dopo quindici anni di galera. Alle critiche si sono uniti anche alcuni intellettuali parigini, tra cui Stephen Smith, e tutti i 27 sopravvissuti, condannando Ben Jelloun come un profittatore, «che si appropria di un argomento tabù solo nel momento in cui esso si trasforma in un soggetto interessante e "mediatico"», dopo aver taciuto per anni. Tahar Ben Jelloun, dalle pagine del quotidiano francese "Le Figaro", replica: «E’ vero, non ho mai parlato di Tazmamart nel periodo in cui i prigionieri vi erano rinchiusi», ma non si sapeva esattamente quello che accadeva in quel posto lontano da tutti, in Marocco il silenzio era totale, e poi «dovevo proteggere la mia famiglia in Marocco e la mia possibilità di ritornarci».