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 2001  gennaio 05 Venerdì calendario

La storia della tomba di Papa Giulio II della Rovere comincia nel 1505. Il Vasari racconta che «era talmente la fama di Michele Agnolo per la "Pietà" fatta, che Giulio II Pontefice deliberò fargli fare la sepoltura e fattolo venire di Fiorenza, fu a parlamento con esso e stabilirono insieme di fare un’opera la quale di bellezza, di superbia e d’invenzione passasse ogni antica imperiale sepoltura»

La storia della tomba di Papa Giulio II della Rovere comincia nel 1505. Il Vasari racconta che «era talmente la fama di Michele Agnolo per la "Pietà" fatta, che Giulio II Pontefice deliberò fargli fare la sepoltura e fattolo venire di Fiorenza, fu a parlamento con esso e stabilirono insieme di fare un’opera la quale di bellezza, di superbia e d’invenzione passasse ogni antica imperiale sepoltura». Il primo dei sei progetti elaborati da Michelangelo, infatti, è grandioso: la tomba è un tempio a tre piani circondato da 40 statue di candido marmo di Carrara. Michelangelo si recò personalmente a sceglierlo e ci rimase otto mesi. Quando tornò a Roma, però, il clima era cambiato: Giulio II, istigato da Bramante e Raffaello, aveva deciso di togliergli la commessa, offrendogli in cambio di affrescare la Cappella Sistina. L’artista, che non aveva nessuna esperienza di pittura (soprattutto a fresco), abbandonò la città in preda all’ira: fu l’inizio di un rapporto tempestoso che durerà fino alla morte del Papa, nel 1513. Morto Giulio, gli eredi della Rovere sollecitano Michelangelo a rimettersi al lavoro: lui fa un nuovo disegno, una seconda versione in cui le 40 figure si riducono a 22. Tra il 1515 e il 1517 scolpisce il Mosè, ma i della Rovere nel frattempo cambiano di nuovo idea (altro disegno, altro contratto, altri soldi). Michelangelo torna a Carrara, ci rimane un anno e, quando torna, viene immediatamente dirottato prima da Leone X e poi da Clemente VII a Firenze, per celebrare la dinastia dei Medici nella facciata della Chiesa di San Lorenzo. I della Rovere scalpitano, accusandolo di non aver onorato il contratto, anzi, di aver prestato a usura i soldi ricevuti per completare l’opera. Comincia un’estenuante trattativa conclusa, nel 1532, con un nuovo contratto per un mausoleo a muro, con sei statue, per la Chiesa di San Pietro in Vincoli. Nel ’34 Michelangelo torna a Roma, ma al soglio pontificio è salito Paolo III Farnese, che non vuole dividere con nessuno il talento dell’artista più famoso d’Europa e gli impone di dipingere il Giudizio Universale (concluso nel ’41). L’anno seguente, nuovo contratto e ripresa dei lavori della tomba. Paolo III convince Guidobaldo della Rovere ad accettare che altri artisti completino tre delle sei statue previste. Michelangelo rifinisce personalmente Rachele e Lia (che fiancheggiano il Mosè) e, nel 1545, finalmente completa i lavori.