Eva Cantarella, Panorama n. 50, 1996., 15 gennaio 2001
Ma il galateo voleva che al corteggiamento non si cedesse troppo facilmente: un po’ come le ragazze dell’Ottocento, i ragazzi greci resistevano, fingendo a lungo ritrosia prima di capitolare
Ma il galateo voleva che al corteggiamento non si cedesse troppo facilmente: un po’ come le ragazze dell’Ottocento, i ragazzi greci resistevano, fingendo a lungo ritrosia prima di capitolare. «Ragazzo, fino a quando mi fuggirai? Ti cerco, /t’inseguo, vorrei giungere alla meta. /Hai la tua terra, tu; ma sei protervo, altero, /e fuggi: sei crudele come un falco. Ti chiedo grazia, fermati.../» scrive Teognide di Megara al giovane Cirno, nella seconda metà del VI secolo. Era amore vero, dunque, quello pederastico: che, ovviamente, poteva far soffrire. Ma quando era ricambiato questo amore svolgeva un’importante funzione civica: grazie all’inseguimento e all’esempio dell’amante, il giovane apprendeva le virtù del cittadino: «Nulla» dice Alcibiade a Socrate, nel ”Simposio” di Platone, cercando invano di convincere il filosofo a diventare il suo amante, «nulla per me è più importante di divenire quanto è più possibile migliore, e credo che in questo nessuno mi possa aiutare meglio di te». Ed era celebre, in tutta la Grecia (ed è giunta sino a noi, nel racconto di Plutarco) la storia del battaglione sacro dei tebani, composto di centocinquanta coppie di amanti, invitti fino alla battaglia di Cheronea, e quindi morti eroicamente a fianco a fianco, ciascuno accanto all’amato, per dimostrare a questo di aver meritato il suo amore.