Dimitri Buffa, Prima Comunicazione, dicembre 1996, 17 gennaio 2001
Una vita randagia insomma, a metà tra la depressione che prende quando si riceve l’estratto conto mensile e l’euforia, quasi infantile, che fa toccare il cielo con un dito ogni qualvolta si piazza un articolo su qualche quotidiano o periodico importante
Una vita randagia insomma, a metà tra la depressione che prende quando si riceve l’estratto conto mensile e l’euforia, quasi infantile, che fa toccare il cielo con un dito ogni qualvolta si piazza un articolo su qualche quotidiano o periodico importante. Già: l’illusione di far circolare la firma, come se in Italia negli ultimi venticinque anni ci fosse stato qualcuno di noi sfigati assunto grazie alle sia pur spietate regole del mercato. Puntuali, dopo ogni euforia, ripiomba addosso la forte consapevolezza che potremmo non farcela mai. E passare quindi dal precariato direttamente alla ”non-pensione”. Per intanto si pagano milioni di telefono, non deducibili dall’Irpef, per permettersi il lusso di fare i free lance. E ogni mano sulla spalla calata da qualche collega che consola con l’incoraggiamento di repertorio è l’ulteriore conferma che la salita è ancora tutta da affrontare. Sentire poi i sindacalisti parlare del futuro della comunicazione, dei service, dei free lance, delle cooperative editoriali ci fa stringere il cuore. Tutte quelle belle parole significano una cosa sola: non c’è trippa per gatti. Per resistere c’è, per ora, esclusivamente il senso dell’autoironia: ci si sente come quei ”gatti cessi” sporchissimi che si incontrano al Colosseo e che si evita di accarezzare per non sporcarsi le mani.