Cecilia Gatto Trocchi su "Salute" di Repubblica dell’11/1/2001 a pagina 31., 11 gennaio 2001
In Brasile chi si ammala può ricorrere alla medicina tradizionale oppure rivolgersi a una santona guaritrice, che prescriverà una terapia personalizzata in cambio di pochi soldi e di qualche bottiglia di cachasa (l’acquavite locale, profumata e fortissima)
In Brasile chi si ammala può ricorrere alla medicina tradizionale oppure rivolgersi a una santona guaritrice, che prescriverà una terapia personalizzata in cambio di pochi soldi e di qualche bottiglia di cachasa (l’acquavite locale, profumata e fortissima). Le pratiche di guarigione fanno parte del candomblè, cerimoniale nato nello stato di Bahia. La guaritrice, chiamata in africano "Iya", in portoghese "mae de santo", conosce una gran quantità di rimedi empirici e medicine a base di erbe. Sa preparare misture di aglio per togliere i vermi ai bambini e infusi di altea per il mal di pancia; prescrive succo d’ananas per far pipì e polpa d’ananas per ridurre i gonfiori. Come antireumatico usa il tè di jaborandi (mistura di rutacee e papiracee) e infusi di ipecacuana per le diarree ricorrenti causate dall’ameba; fa masticare anice verde alle donne che non hanno latte, consiglia l’infuso di artiglio del diavolo per le febbriciattole più ostinate. L’infuso di guaranà, invece, è tonico, stimolante, digestivo, antidepressivo; il mate, ottimo per il mal di stomaco, l’inappetenza, la dismenorrea; la zuppa di fagioli va bene per chi ha il colesterolo alto, la yucca cruda, tagliata a fettine sottilissime, compensa la carenza di vitamine. Se la malattia non passa con i rimedi naturali, è segno che ha un’origine malefica (sortilegi di morte o magia nera). Per diagnosticarla si organizzano grandiosi rituali (gli "ebbò") con danze, canti e musiche che si prolungano fino allo sfinimento e al vuoto interiore (in modo che il dio possa trasferirsi agevolmente nella coscienza ormai "spenta" e parlare per bocca del danzatore). Gli dei della tradizione brasiliana vengono chiamati con i nomi dei santi cristiani, della Vergine e di Gesù: per le malattie, però, bisogna invocare Omulù, il dio del vaiolo, che in realtà ha un nome segreto e pericoloso a pronunciarsi, Shapannan, e viene rappresentato come san Lazzaro, con le piaghe sul corpo. Il rituale di Omulù viene fatto di lunedì: si sacrifica un capretto a colpi di pietra, il che dimostra che il culto del dio delle malattie è molto antico, risale probabilmente a prima dell’età del ferro. Durante la danza è prevista l’offerta di granturco arrostito. A un certo punto l’adepto cade a terra e viene portato via dalle "figlie del santo": vuol dire che Omulù è sceso su di lui (questi rituali, infatti, sono detti "di possessione"). Ritorna con la testa e il corpo rivestiti di frange di rafia e inizia a danzare su un altro ritmo ("opanijè"), mimando le convulsioni e il tremore della febbre, agitando una scopa di foglie di palma e gridando «A-toto». A questo punto è possibile diagnosticare la malattia, trovare un rimedio simbolico e mangiare il cibo consacrato a Omulù, che restituirà la salute: granturco tostato, un piatto di banane grandi e verdi, tagliate fini e fritte nel burro, pezzettini di maiale molto cotti, fette di acelga (un frutto tropicale), brodo di pollo, il frutto del quimbombò, polpa e latte di cocco.