Massimo Gramellini, Micromega, n.1, 1997, 19 gennaio 2001
L’impatto con una realtà a lungo mitizzata può essere sconcertante, specie quando della patria di elezione, gli Stati Uniti, si conoscono i film e i dischi ma si ignora un accessorio non marginale: la lingua
L’impatto con una realtà a lungo mitizzata può essere sconcertante, specie quando della patria di elezione, gli Stati Uniti, si conoscono i film e i dischi ma si ignora un accessorio non marginale: la lingua. Abbiamo seguito the Vicepresident durante il suo blitz estivo alle Olimpiadi di Atlanta, conclusosi in una spelonca piena di rutti e spinelli dove erano in corso le prove generali di un concerto dei Blues Brothers, un ’icona della sinistra giovanilista rappresentata in loco da Serena Dandini e dal presidente dell’Enel Chicco Testa. Avanzano come in un film di Vanzina, con le loro cravatte e i loro vestiti eleganti, fra ragazzi tatuati che fumano hashish, bestemmiano e ciucciano birra. Si sistemano in piedi nella sala vuota, mentre un gruppo di avvinazzati sta urlando: «Tutto quello che vogliamo è il rock». Chicco Testa ha un sussulto: «Ti ricordi, Walter. Solo che noi invece di rock, dicevamo comunismo». Veltroni sta scrutando il palco, cercando come al solito di parlar bene di qualcuno. Serena Dandini guarda con tristezza il pancione di Dan Aykroyd, nel film era magrissimo, e ascolta perplessa la voce di James Belushi, che in comune col fratello morto non ha che il cognome. «Vedrete, al concerto si trasforma», lo protegge Veltroni. Quando Aykroyd attacca ”Everybody needs somebody” col celebre passettino di danza, Dandini si scuote, Testa si stringe alla moglie e insomma tutti cominciano a muoversi tranne Veltroni, piantato a braccia conserte in mezzo alla bolgia come un poliziotto dell’Illinois.