Guido Tiberga sulla Stampa del 13/1/2001 a pagina 23; Paolo Guiducci sul Corriere della Sera Del 13/1/2001 a pagina 28., 13 gennaio 2001
Diamante da sette carati al dito e Rolex d’oro al polso, Gianluigi Bonelli amava andarsene in giro con i jeans, il cappello a larghe falde e la camicia a becchi lunghi sbottonata sul petto, dove, tra i peli ormai bianchi, brillava un medaglione: "E’ indiano – raccontava – Sioux o Comanche, non ricordo più
Diamante da sette carati al dito e Rolex d’oro al polso, Gianluigi Bonelli amava andarsene in giro con i jeans, il cappello a larghe falde e la camicia a becchi lunghi sbottonata sul petto, dove, tra i peli ormai bianchi, brillava un medaglione: "E’ indiano – raccontava – Sioux o Comanche, non ricordo più. L’ho comprato dopo aver fatto Tex, in un viaggio alla Monument Valley". In quel viaggio, compiuto a quasi settant’anni, lo aveva accompagnato il figlio Sergio: ma Bonelli, "al panorama immenso e mozzafiato che per anni aveva raccontato sulle pagine di Tex", aveva preferito un chiosco di hot-dog. Profumatissimo ("Lavanda Atkinson", precisava con orgoglio), era capace di parlare per ore del suo mito americano ("Là c’è gente seria, mica come da noi") e di Jack London (che aveva tradotto per l’editore Vecchi, con lo pseudonimo americaneggiante di B. O’Nelly). Tra i suoi autori preferiti c’erano Zane Grey, lo scrittore di western americano che avrebbe ispirato anche Hugo Pratt, Edgard Wallace e l’Hider Haggard de ”Le miniere di re Salomone”. Bonelli aveva fatto anche il pugile, e gli piaceva andare a caccia: "Ma non sono capace di uccidere nessun animale. Amo troppo la vita".