Roberto Cotroneo, L’Espresso n.6, 1997, 22 gennaio 2001
Mi chiedo poi quale calcolo ti abbia spinto a mettere su carta frasi del tipo: «Tra il dire e il fare, diceva sempre la mia maestra, c’è di mezzo il mare
Mi chiedo poi quale calcolo ti abbia spinto a mettere su carta frasi del tipo: «Tra il dire e il fare, diceva sempre la mia maestra, c’è di mezzo il mare. Ecco, era questo mare che volevo indagare». Sono frasi che non hanno la minima potenza espressiva, che appartengono a un linguaggio provinciale, dopolavoristico. Come quando usi la parola «fermenti» per parlare delle rivolte studentesche, e aggiungi: «Per curiosità sono andato a due o tre riunioni del collettivo della scuola. Si parlava di lotta al capitalismo e dittatura del proletariato... Non c’era niente di nuovo sotto il sole». Niente di nuovo sotto il sole! Tra il dire e il fare! In un altro punto, leggo: «Ormai ero in ballo e dovevo ballare». E ancora: «Era maggio e l’aria tiepida della notte era già satura dell’odore dolciastro dei fiori». Un po’ più avanti, scrivi: «Le greggi umane erano rientrate nelle rispettive [sic!] case e le strade erano di nuovo deserte». Poi, due pagine dopo: «Lo splendore delle perle nasce da una ferita. Ecco cos’ero, un pescatore di perle. Da quando ero nato non avevo fatto altro che tuffarmi negli abissi più profondi per portare il tesoro in superficie». questo il romanzo teologico, scomodo, difficile che tu e il tuo editore avete deciso di propagandare?