La Stampa, 06/06/1994, 6 giugno 1994
Io vidi che gli avevo fatto solo una ferita piccola. Il mio compagno aveva già cominciato a dargli coltellate all’addome, ma nessuna era mortale
Io vidi che gli avevo fatto solo una ferita piccola. Il mio compagno aveva già cominciato a dargli coltellate all’addome, ma nessuna era mortale. Neanch’io riuscivo a dargli una pugnalata come si deve al collo. Cominciò ad urlare no, no: una, due volte. Mi scostò con uno spintone e tentò di fuggire. Io lo rincorsi, lo afferrai. Lo presi per le spalle e ricominciai a colpirlo al collo. Il coltello tagliò anche un pezzo di guanto. Continuiamo a lottare, ci rotoliamo. «Trascinalo al terrapieno, dietro il parco, dietro la fermata degli autobus. Là potremo ucciderlo a piacimento», disse il mio compagno. Sentendo questo, la preda si dibattè con più forza. Caddi lungo il terrapieno. Rimasi mezzo intontito per il colpo, ma il mio compagno aveva già sceso il terrapieno e lo inseguiva menando fendenti. Io lo presi da dietro per tenerlo fermo. Così il compagno poteva dargli più coltellate. Lui lo fece. La preda raddoppiò i suoi sforzi. Gridò più forte: «Figli di puttana, no, no, non uccidetemi!». Cominciava a darmi fastidio il fatto che quello né moriva né si fiaccava, mi faceva abbastanza arrabbiare (...) Il mio compagno si era stancato di tirare pugnalate a caso. Ripresi il coltello (uhmmm mi pare però che non mi fosse caduto: no, non avevo perduto il coltello perché , altrimenti, non avrei mica potuto fare quello che scriverò ora).