24 gennaio 2001
Claudia Bonaiuti, 23 anni, e Rita Bonaiuti, 43 anni, sono due sorelle di una famiglia che conta nove figli - cinque femmine e quattro maschi - originaria dell’Asmara, dove il padre impiegato durante l’occupazione italiana aveva sposato una donna di 25 anni più giovane, e da dove si erano dovuti trasferire nel ’75 dopo la caduta di Hailé Selassié arrivando in Italia senza più niente e poveri in canna, con appena una valigia di dieci chili e le chiavi della casa da benestanti che abitavano come ricordo
Claudia Bonaiuti, 23 anni, e Rita Bonaiuti, 43 anni, sono due sorelle di una famiglia che conta nove figli - cinque femmine e quattro maschi - originaria dell’Asmara, dove il padre impiegato durante l’occupazione italiana aveva sposato una donna di 25 anni più giovane, e da dove si erano dovuti trasferire nel ’75 dopo la caduta di Hailé Selassié arrivando in Italia senza più niente e poveri in canna, con appena una valigia di dieci chili e le chiavi della casa da benestanti che abitavano come ricordo. Dopo la morte del padre, Claudia, Rita ed una terza sorella vivono con la madre sessantenne a Tor Lupara, frazione di Mentana, alle porte di Roma, mentre fratelli e le altre due sorelle vivono per conto proprio. Claudia, bravissima a scuola e vincitrice di una borsa di studio alla Luiss dove seguiva i corsi di Economia e Commercio, era stata assunta al Cnr dove aveva cominciato a lavorare lunedì 3 marzo. Però non era felice, anzi tristissima e, secondo quanto si dice in paese, l’aveva accasciata il suicidio di Kurt Cobain dei Nirvana, gruppo musicale di cui era appassionatissima. In ogni caso, martedì 4 marzo, cioè il giorno dopo aver cominciato a lavorare al Cnr, eccola prendere in affitto una stanzetta in una pensione di via Palestro, vicino alla stazione, paga in anticipo, nessuno può neanche lontanamente immaginare, sulla porta attacca un bigliettino con su scritto ”svegliatemi alle sedici”, infila un altro biglietto con su scritto ”perdonatemi, vi voglio bene” nel diario da cui non si separava mai, lega una corda alla doccia della stanza e si impicca. Il giorno dopo, mercoledì 5 marzo, sua sorella Rita, che lavora in uno stabilimento farmaceutico di Pomezia, una ragazza fidanzata che pare a tutti felice, torna a casa dal lavoro e le raccontano quel che ha fatto Claudia, esce allora subito a bordo della sua Panda 750 bianca, per un po’ vaga senza mèta, poi entra in un capannone industriale abbandonato nei pressi di Tor Sant’Antonio, a Guidonia, siamo a qualche chilometro da Tor Lupara, scende dalla macchina e lega un tubo di gomma alla marmitta infilandolo poi nel finestrino dell’auto, sigilla bene ogni apertura e si lascia soffocare dai gas di scarico, lasciando un biglietto con su scritto ”Perdonatemi, amàtemi”. Verrà trovata quasi per caso quando un passante, vedendo l’auto, il tubo ed il cadavere, avvertirà i carabinieri, due giorni dopo, venerdì 7 marzo alle 13 e 30 circa.