Enrico Deaglio, Diario n.10, L’Unit., 25 gennaio 2001
Nei giorni successivi al delitto ci furono - queste sì logiche - delle «retate» negli ambienti dell’ultrasinistra, ma ci fu anche, da parte istituzionale, un forte imbarazzo
Nei giorni successivi al delitto ci furono - queste sì logiche - delle «retate» negli ambienti dell’ultrasinistra, ma ci fu anche, da parte istituzionale, un forte imbarazzo. Ancora pochi giorni fa, l’ex questore di Milano Achille Serra ha ricordato come gli allora dirigenti del ministero avrebbero voluto, per Calabresi, un funerale frettoloso e senza clamori. Il secondo proiettile del delitto compare ufficialmente per la prima volta il 3 agosto 1972, quando la Questura di Milano lo deposita all’ufficio «corpi di reato» di Milano sotto la dicitura «busta con un proiettile repertato in ospedale». Il proiettile è in compagnia di altre sette buste piuttosto stravaganti. Ce ne sono infatti altre tre che riguardano i frammenti di piombo estratti dal capo di Calabresi; poi una non meglio precisata «lettera dell’istituto di Medicina Legale di Milano»; le restanti tre contengono: due pallottole sparate con una pistola calibro 38 sequestrata al cittadino boliviano Renè Tapia Selene; cinque pallottole di piombo sparate dal revolver Smith & Wesson Airweight calibro 38 Special dall’ingegner Salza il 20 giugno 1972; sedici proiettili esplosi dalle armi della banda «Baader Meinhof».