Enrico Deaglio, Diario n.10, L’Unit., 25 gennaio 2001
Da cui si evince che il proiettile dell’omicidio Calabresi è stato ritrovato almeno dal 20 giugno 1972 ed è stato messo in relazione con altre armi, tanto è vero che l’ingegner Salza (membro di un collegio peritale che comprendeva anche i professori Cerri e De Bernardi) ha provato a paragonarne le rigature con almeno due revolver fornitigli dalla Questura
Da cui si evince che il proiettile dell’omicidio Calabresi è stato ritrovato almeno dal 20 giugno 1972 ed è stato messo in relazione con altre armi, tanto è vero che l’ingegner Salza (membro di un collegio peritale che comprendeva anche i professori Cerri e De Bernardi) ha provato a paragonarne le rigature con almeno due revolver fornitigli dalla Questura. (Di tutto questo, in nove anni di processo Calabresi, non è spuntato un solo ricordo, una sola relazione, una sola fotografia, una sola carta ingiallita). Ancora nel 1990, quando la difesa di Pietrostefani cercò di sapere chi, dove, quando avesse trovato quel proiettile, ebbe solo risposte negative: non lo avevano trovato né lettighieri, né infermieri, né la dottoressa Crapis, né il responsabile del posto di polizia al San Carlo, né la polizia scientifica. Vennero allora anche interrogati i funzionari dell’Ufficio Politico della Questura dell’epoca, ma «tutti concordemente hanno riferito che non ricordano chi abbia portato materialmente il proiettile in Questura». Dal che si capisce - se le parole dell’ispettore di polizia Francesco Pedula che firma il rapporto hanno un senso - che «qualcuno» portò brevi manu il famoso proiettile in Questura. Che il magistrato non venne informato. Che la Questura se lo tenne per un po’ e lo fece vedere al perito Salza. Che non venne catalogato. Che non venne rilasciata ricevuta. E che il tutto restò nell’anonimato.