Gian Antonio Stella, Sette n. 14, 1996, 2 febbraio 2001
Una storia avviata ormai vent’anni fa, nel 1977, proprio da Aristide Massaccesi. Il quale, in attesa di prendersi via via i nomi d’arte di Michael Wotruba, Peter Newton, David Hills, Robert Duke, Dick Spitfire, Steve Bronson, Alexander Borsky o Kevin Mancuso, usati a seconda delle mode del momento per fare il western o l’horror, la fantascienza o il poliziesco, infranse l’ultimo tabù nella versione straniera d’un giallo-erotico dal titolo ruffianamente pseudo-femminista: Emmanuelle, perché violenza alle donne
Una storia avviata ormai vent’anni fa, nel 1977, proprio da Aristide Massaccesi. Il quale, in attesa di prendersi via via i nomi d’arte di Michael Wotruba, Peter Newton, David Hills, Robert Duke, Dick Spitfire, Steve Bronson, Alexander Borsky o Kevin Mancuso, usati a seconda delle mode del momento per fare il western o l’horror, la fantascienza o il poliziesco, infranse l’ultimo tabù nella versione straniera d’un giallo-erotico dal titolo ruffianamente pseudo-femminista: Emmanuelle, perché violenza alle donne. La scena hard, girata solo per l’estero, era una. La protagonista, una bionda svedese del tutto priva di pudori, Marina Hedman. Destinata a diventare, tra i sospiri di ammirazione degli spettatori e quelli di disperazione dell’allora marito, Paolo Frajese, la prima pornostar italiana ai tempi in cui ancora Moana Pozzi andava a scuola dalle Orsoline.