Rossella Sleiter sul VenerdÏ di Repubblica del 2/2/2001 a pagina 98., 2 febbraio 2001
Pablo Picasso incontra Dora Maar nel 1936, ai Deux Magots, celebre caffè parigino. E’ seduta da sola, porta i guanti e un elegante cappellino in testa
Pablo Picasso incontra Dora Maar nel 1936, ai Deux Magots, celebre caffè parigino. E’ seduta da sola, porta i guanti e un elegante cappellino in testa. Ha ventinove anni, è figlia di un architetto croato e di una francese, ha studiato fotografia con Henri Cartier-Bresson. Lui è «un grasso sessantacinquenne con i capelli bianchi»: non ha ancora «quella mitica calvizie che lo renderà irresistibile più tardi», né «l’aggressività fisica del vecchio marinaio abbronzato con la maglietta a righe con cui si lascia ritrarre quando ha già passato gli ottanta. Porta la camicia col colletto, la cravatta e un brutto riporto di capelli che gli attraversa la fronte». Lei, «bruna, famosa, economicamente indipendente, energica», ha una voce sensuale e parla spagnolo. La loro storia dura sette anni: quando si lasciano, nel ’43, a Parigi c’è stata l’occupazione nazista, lui, sconvolto dalla guerra civile spagnola, ha dipinto Guernica, lei (che è una brava fotografa) ha fermato le varie fasi dell’opera con la sua Rolleiflex. Chiudere non è facile: Dora ha bisogno d’aiuto e si rivolge a Lacan, «quando la psicoanalisi era rivoluzionaria come la pittura di Picasso». Non ha alcun desiderio di passare inosservata: a chi la compiange per la rottura con l’artista, risponde che lei è Dora Maar, non madame Picasso: «A chi interessa madame Cezanne, a chi gliene importa di Saskia Rembrandt?».