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 2001  febbraio 06 Martedì calendario

Voglia di politica. Tanta attenzione verso la stampa suggerisce a molti l’idea di un Romiti intento a preparare un clamoroso ingresso in politica a capo di un centro-destra tecnocratico ancora tutto da costruire

Voglia di politica. Tanta attenzione verso la stampa suggerisce a molti l’idea di un Romiti intento a preparare un clamoroso ingresso in politica a capo di un centro-destra tecnocratico ancora tutto da costruire. A sostegno di questa tesi militano tre fattori: la convinzione dell’establishment che Silvio Berlusconi sia troppo prigioniero dei suoi conflitti d’interesse per esercitare una vera leadership; la promessa che Romiti ha preso di non rimanere alla guida della Fiat dopo il compimento del settantacinquesimo anno, il 24 giugno 1998; l’antica ruggine con Romano Prodi, oggi in parte stemperata (come dimostra l’incontro riservato, lunedì 28 aprile a palazzo Chigi, nel quale il presidente della Fiat ha informato il premier dei benefici influssi sui conti della Fiat degli aiuti governativi all’auto). In realtà, la forza delle cose tende a tenere lontano Romiti dalla politica e ad ancorarlo al timone della Fiat più di quanto lui non voglia ammettere. Intanto, checché se ne pensi, la destra un leader ce l’ha ed è Berlusconi. I conflitti d’interesse ne possono condizionare l’azione, ma lo costringono anche a rimanere in politica, la collocazione più sicura per difendere i suoi affari. E Romiti ne ha preso atto. Del resto fra i due ci sono anche affinità, come sembra dimostrare la convergenza sulla candidatura di Gabriele Albertini a sindaco di Milano. Ma a frenare Romiti da un impegno politico diretto è il ruolo che l’uomo, sostenuto da Mediobanca, ha assunto nella delicatissima transizione del capitalismo italiano: dal governo delle grandi famiglie a quello dei manager sostenuti da ”noccioli duri” di azionisti, siano essi famiglie o istituzioni finanziarie.