Massimo Mucchetti, L’Espresso, n.20 1997, 6 febbraio 2001
Se gioca anche Rossi. Il lamento di Maranghi all’assemblea del 28 ottobre l996 contro il governo, reo di tenere al palo le uniche privatizzazioni - Stet ed Enel - nelle quali è impegnata Mediobanca, segnala non soltanto una protesta ma soprattutto una debolezza
Se gioca anche Rossi. Il lamento di Maranghi all’assemblea del 28 ottobre l996 contro il governo, reo di tenere al palo le uniche privatizzazioni - Stet ed Enel - nelle quali è impegnata Mediobanca, segnala non soltanto una protesta ma soprattutto una debolezza. Che appare tanto più seria quando si consideri che cosa è accaduto in seguito: l’Enel di Franco Tatò si allea con l’Eni e mette in crisi i produttori privati amici di Mediobanca (dopo l’annuncio le quotazioni di Edison e Sondel sono cadute); il governo Prodi nomina alla presidenza della Stet quel Guido Rossi diviso da Romiti (e da Maranghi) da una fiera e antica ostilità personale. Ebbene, in un simile contesto l’Ifi e l’Ifil, le due casseforti della famiglia Agnelli, entrano nella ristretta cerchia degli azionisti stabili del San Paolo di Torino e vendono il 2 per cento della Fiat alla Compagnia di San Paolo, la fondazione che controlla la banca subalpina. La scelta fa scalpore, perché il presidente dell’Istituto bancario, Gianni Zandano, e quello della Compagnia, Gianni Merlini, hanno scartato Mediobanca, alla quale era invece stato affidato nel 1992 il collocamento in Borsa, e hanno scelto come consigliere per la privatizzazione proprio Rossi. Una decisione che colloca il San Paolo nella posizione di punto di riferimento finanziario della privatizzazione Stet, nonostante Mediobanca ne sia il global coordinator. Romiti non ha commentato l’episodio, ma si dice che stia facendo del suo meglio per non aprire alla Compagnia le porte del consiglio di amministrazione Fiat. Se ci riuscirà, darà un segnale inequivocabile su chi comanda a Torino. Almeno per qualche anno.