Maria Vittoria Vittori sul Mattino del 7/2/2001 a pagina 19., 7 febbraio 2001
Emile Zola, nel romanzo "Il paradiso delle signore", fa dire a un suo personaggio (Octave Mouret, fondatore e proprietario di grandi magazzini): «Prima ci si incontrava nei giardini, nelle piazze, ora ci si incontra nei grandi magazzini, luoghi chiusi che danno sicurezza
Emile Zola, nel romanzo "Il paradiso delle signore", fa dire a un suo personaggio (Octave Mouret, fondatore e proprietario di grandi magazzini): «Prima ci si incontrava nei giardini, nelle piazze, ora ci si incontra nei grandi magazzini, luoghi chiusi che danno sicurezza. In fondo hanno sostituito le grandi cattedrali». Zola pubblicò il romanzo nel 1883, e c’è già tutto: «la genesi epica dei grandi magazzini, la descrizione dei meccanismi, la scheda psicologica di ogni componente umana: il proprietario, i commessi, i clienti. C’è perfino la frenesia da shopping», con Madame Marty, che corre su e giù, «trascinata dalla sua acuta brama di spendere», in preda a vere e proprie «crisi di spese». Anche la figura della commessa nasce con questo romanzo: «Denise, la ventenne imbranata ma tanto carina, è il prototipo di tutte le commesse novecentesche che, nel polpettone anni Trenta di Mario Camerini "Grandi Magazzini", nei fotoromanzi anni Cinquanta di "Grand Hotel" e nelle "vicende vissute" di "Confidenze" spezzano con un battito di ciglia l’arido cuore del padrone, e così si sistemano a vita». Ma per le meno fortunate la vita non è facile, dice Zola. Consiste nel «far le brave e le graziose in vestiti di seta non propri, e morire di fatica, malnutrite, peggio trattate, sotto la costante minaccia di esser buttate fuori». Altrettanto infelice la sorte dei commessi, «che in letteratura sono personaggi immancabilmente perdenti. Si diventa commesse anche perché si è di bella presenza, affabili, si conoscono le lingue, si diventa commessi solo perché si è sfigati. Due esempi eloquenti: il protagonista del romanzo d’esordio di Giuseppe Culicchia "Tutti giù per terra" (1994) e il personaggio più sfigato della compagnia descritta da Romolo Bugaro in "La buona e brava gente della nazione" (1998)».