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 2001  febbraio 07 Mercoledì calendario

Il centro di ricerche che avrebbe voluto per l’Italia, come lo immaginava ? «Simile a quelli degli Stati Uniti

Il centro di ricerche che avrebbe voluto per l’Italia, come lo immaginava ? «Simile a quelli degli Stati Uniti. Per esempio sul modello del Salk Institute. Lì, innanzitutto, non esiste attività didattica. Chi vuole insegnare può farlo presso una delle università vicine. Poi non esiste burocrazia. C’è un’amministrazione, ma il suo scopo è quello di facilitare il compito dei ricercatori, non di complicarlo. Il lavoro è sottoposto a continue valutazioni di qualità. Molto rigorose. Anche dal punto di vista dei ricercatori, ce ne sono circa 300 di cui solo un cinquantina stabili: la stabilità è un fattore che limita la ricerca. Il resto sono giovani, si fermano due o tre anni, poi se ne vanno e vengono sostituiti. Si lavora in molte discipline che hanno come elemento comune la biologia e la genetica molecolare, e che vanno dall’immunologia alla neurologia o allo sviluppo. Competenze diverse abituate a convivere e a convergere. Tutti parlano con tutti, non ci sono formalità, dipartimenti. C’è solo una distinzione in gruppi, importante dal punto di vista dell’amministrazione, perché ciascuno gestisce i propri fondi in autonomia. Le scelte vengono fatte solo in funzione della qualità. Un grant, che dura dai tre ai cinque anni, è sottoposto a verifica con 12 mesi di anticipo rispetto alla scadenza. E il responsabile della ricerca deve presentare una domanda di rinnovo dove illustra i progressi, il programma degli esperimenti e il relativo budget. Il tutto viene in genere approvato entro sei mesi. Qualche speranza di sviluppare anche a Milano un centro come questi me l’ha data Gabriele Albertini, il nuovo sindaco, che mi ha consultato impegnandosi a dare spazio a questo modello di ricerca». (Renato Dulbecco a Claudio Carlone).