Patrizia Valduga, Sette n. 32, 1997, 21 febbraio 2001
Alcune considerazioni in margine a due recenti polemiche poetiche, quella fatta esplodere da Dante Isella su Montale postumo e l’altra, implacabilmente ricorrente, sulla poesia di cantautori e affini
Alcune considerazioni in margine a due recenti polemiche poetiche, quella fatta esplodere da Dante Isella su Montale postumo e l’altra, implacabilmente ricorrente, sulla poesia di cantautori e affini. La vera poesia è difficile e poco amata: infatti vende poco o pochissimo. Facile e amatissima è la sua imitazione, che chiameremo «il poetico», cioè la similpoesia, la pseudopoesia, la poesia degradata, addomesticata, digestiva, calmante e consolatoria. I giornali, col loro gusto per il falso, non perdono un’occasione per rifilarci come poesia i componimenti di bambini malati, adolescenti assassini, imprenditori in galera, attrici in pensione, terroristi pentiti o impenitenti, presidenti di camera, preti spiritati, assistenti di filosofia e perturbati psichici in genere. I giornali, dicevamo: ma anche Costanzo e Mollica non scherzano. Possiamo trovare imitazioni di tutto: c’è il poetico classico e quello d’avanguardia, il poetico barocco e quello postmoderno, il simil-Montale, il simil-Zanzotto, il simil-Penna... Il simil-Ungaretti è il livello più basso del dilettantismo: basta andare a capo dopo ogni parola. Il 90% del prodotto nazionale lordo è patacca. La patacca regna incontrastata, grazie a critici incompetenti o compiacenti. Patacca sono quasi tutte le traduzioni, perché la poesia è forma e le traduzioni sono perlopiù informi. E patacca sono i versi dei poeti, poeti di professione, che imitano se medesimi. Patacca sono anche le canzoni. E buona notte a tutti i cantautori.