Claudio Rendina su la Repubblica del 18/2/2001 a pagina X (Cronaca di Roma)., 18 febbraio 2001
Nel Carnevale romano del XVIII secolo, il clou degli svaghi era la «corsa dei cavalli berberi», che si svolgeva ogni sera, a partire dalle ventitré, su via Lata (ribattezzata via del Corso proprio per questo motivo)
Nel Carnevale romano del XVIII secolo, il clou degli svaghi era la «corsa dei cavalli berberi», che si svolgeva ogni sera, a partire dalle ventitré, su via Lata (ribattezzata via del Corso proprio per questo motivo). I cavalli venivano eccitati alla corsa con bevande drogate e pungoli fatti di pallottole di legno con aculei di ferro: così dalla "mossa", ossia il sollevamento del canapo in piazza del Popolo, partivano al galoppo fino alla "ripresa", cioè l’arresto, in piazza San Marco. Lungo il percorso si contavano ogni anno morti e feriti, tanto che la corsa nel 1882 venne proibita. La sera di martedì grasso si chiudeva con la festa dei "moccoletti", candele e lumi di ogni tipo alla luce dei quali si celebrava il rito della morte del Carnevale: ognuno portava sul cappello o su una canna la sua piccola luce e in mezzo a un’indescrivibile confusione cercava di tenerla accesa, tentando nel frattempo di spegnere quella degli altri. Una gara con la morte, al grido di «morammazzato chi non regge er moccolo!». Alla fine c’era l’ultima "magnata" prima della quaresima incombente, come scrive il Belli: «Pe’ mme vojo anna’ a letto a ppanza piena / e pprima me darìa la testa ar muro / che chiude un carnovale senza scéna».