21 febbraio 2001
Gobbo Tamara, Olivetti Silvia e Diana. Le tre ragazze della provincia di Padova che mercoledì mattina erano andate in gita sulla Maiella e, giunte al bivio di Capoposto, là dove brucavano bloccati dalle pastoie due cavalli e una mula, avevano chiesto a un uomo magro, con i capelli ricciuti girati all’infuori, quale fosse la strada per salire alla vetta
Gobbo Tamara, Olivetti Silvia e Diana. Le tre ragazze della provincia di Padova che mercoledì mattina erano andate in gita sulla Maiella e, giunte al bivio di Capoposto, là dove brucavano bloccati dalle pastoie due cavalli e una mula, avevano chiesto a un uomo magro, con i capelli ricciuti girati all’infuori, quale fosse la strada per salire alla vetta. L’uomo aveva risposto: «Vi ci porto io». Si saprà dopo che costui aveva 23 anni, e veniva dalla Macedonia, e faceva il pastore di pecore, e non beveva mai birra in quanto musulmano molto osservante. Alle tre ragazze sembrò invece subito un poco di buono e non capirono neanche che era straniero: parlava infatti con l’accento degli abruzzesi. Risposero dunque «no grazie» e s’incamminarono per l’erta, prendendo a caso una delle due strade del bivio. Ma l’uomo - alto, le fosse incavate, il naso adunco, indosso una giacca a vento stracciata di colore celeste - fece una corsa e gli si parò davanti. «Non potete andar su da sole, è pieno di cani inselvatichiti» disse e mise una mano sotto la giacca, e tirò fuori una pistola piccola piccola, che nel suo grande pugno nemmeno si vedeva. Il cielo era grigio e pesante, il vento freddo e impetuoso. Di tanto in tanto cadeva una grossa goccia di pioggia. Le ragazze capirono che l’uomo era fuori di sé e tentarono di calmarlo offrendogli denaro e anche le catenine che portavano al collo. Ma quello, senza neanche sentirle, sparò un colpo a Tamara, e poi due colpi a Silvia, che, ferita a un polso e ad un fianco, cadde in ginocchio e poi riversa. Sembrava morta anche lei, ma teneva gli occhi socchiusi e vide che Diana, senza dire una parola, s’era tolta i pantaloncini. Vide poi l’uomo che le si sdraiava di sopra e s’agitava senza badare alle grida e ai singhiozzi. Finì poi, si rialzò e le sparò. Girò quindi la testa dalla parte di Silvia, e la guardò, ma Silvia disperata balzò in piedi e si diede alla fuga pei boschi, senza che lui potesse o volesse inseguirla. Vagò per i monti fino a sera e venne alla fine raccolta nel piccolo paese di Marane, dove la soccorse un vecchio che portava a spasso un bambino. Raccontò la sua storia e la polizia capì facilmente che l’assassino era l’Aliyebi Hasani, da Gostivar, Macedonia, di anni 23: nessun altro pastore su quei monti girava con due cavalli e una mula (a pagina 3 il servizio di Marina Garbesi sulla stalla di Aliyebi, sui suoi padroni abruzzesi e sugli altri pastori che vivono in cima alle montagne d’Abruzzo).