Andrea Silenzi sul VenerdÏ di Repubblica del 23/02/2001 a pagina 30., 23 febbraio 2001
Le radici del rap (letteralmente: chiacchiera, discorso) affondano nel jazz anni Quaranta, quando i musicisti, mentre suonavano, si divertivano ad improvvisare sequenze interminabili di parole
Le radici del rap (letteralmente: chiacchiera, discorso) affondano nel jazz anni Quaranta, quando i musicisti, mentre suonavano, si divertivano ad improvvisare sequenze interminabili di parole. A metà degli anni Settanta, le strade delle metropoli americane cominciarono ad essere affolate da giovani che con queste sequenze di parole raccontavano la rabbia e l’emarginazione del popolo nero. Negli stessi anni, nel Bronx (quartiere «nero» di New York), venivano organizzati i così detti «block party», feste rionali durante le quali una strada veniva chiusa alle due estremità e diventava una pista da ballo: giradischi e luci venivano abusivamente collegati ad un lampione e un dj faceva ballare la gente incitata da una specie di maestro di cerimonie. Gli appassionati del rap e della cultura hip-hop (che comprende anche, ad esempio, grafitismo e breakdance) inventano anche una nuova moda: berretti da baseball, scarpe da ginnastica, tute e felpe. Verso la fine degli anni Ottanta, questo tipo di musica degenera, e a Los Angeles nasce il Gangsta-rap, che dà voce ad un’etica delinquenziale, è caratterizzato da testi contro la polizia, sempre più violenti. Si assiste anche a vere e proprie faide tra rappers, come ad esempio quella che portò alla morte di Tupac Shakur (1996) e del suo rivale Notorius B.I.G. (1997).