Claudio Rendina su la Repubblica del 25/02/2001 a pagina VII., 25 febbraio 2001
Il nobile romano Stefano Porcari, sostenitore della repubblica, nel 1447 provò a fomentare l’instaurazione di un governo repubblicano a Roma (approfittando della morte del papa Eugenio IV)
Il nobile romano Stefano Porcari, sostenitore della repubblica, nel 1447 provò a fomentare l’instaurazione di un governo repubblicano a Roma (approfittando della morte del papa Eugenio IV). Porcari esortò i concittadini a conquistare un’autonomia governativa (dietro pagamento di un tributo alla Chiesa) e, quando il nuovo papa Niccolò V lo nominò Governatore della Campagna, ne approfittò per far rivoltare la folla contro lo stato pontificio. Dopo un duro scontro in piazza Navona, Niccolò V lo mandò al confino a Bologna: lui, d’accordo con il cognato Angelo di Maso e i nipoti Niccolò Gallo e Battista Sciarra, organizzò dall’esilio una congiura e fuggì da Bologna la notte del 30 dicembre 1452. Il 6 gennaio una settantina di persone si riunirono in casa di Angelo di Maso, nel rione Pigna: Porcari si presentò all’appuntamento vestito di drappi d’oro, con una bandiera che inneggiava alla libertà e un vessillo con le scritte «Liberatore della città» e «Summa libertas». Il piano prevedeva l’incendio delle stalle pontificie e l’arresto del papa e dei cardinali. Per raggiungere l’obiettivo, i rivoltosi pensarono di puntare su San Pietro e impadronirsi di Castel Sant’Angelo. Prima dell’inizio della rivolta vera e propria, però, la casa di Angelo di Maso venne circondata dalle truppe pontificie: Battista Sciarra riuscì a fuggire, Porcari cercò dapprima di resistere all’arresto, poi fuggì anche lui, nascondendosi a casa di sua sorella, in una cassa di legno. Sotto tortura, l’amico Francesco Gabbadeo rivelò alle guardie papali il nascondiglio segreto del nobile rivoltoso, che venne arrestato e trasferito a Castel Sant’Angelo (durante il tragitto, lo si sentì gridare invano: «Popolo, lascerai così morire il tuo liberatore?»). Processato, fu condannato al capestro la notte del 9 gennaio, tre ore prima dell’alba. Venne impiccato a un torrione del Castello: il cadavere rimase esposto penzoloni e poi gettato nel Tevere. Lo stesso giorno furono impiccati Angelo di Maso e suo figlio Clemente, allo Sciarra fu tagliata la testa. Tre giorni dopo, senza neanche un processo, furono impiccati anche Gabbadeo e gli altri congiurati. La Chiesa fece demolire le case dei Porcari in via delle Ceste: rimase solo un caseggiato (sul quale il Comune di Roma, nel 1871, fece affiggere una lapide: «Qui Stefano Porcari, patrizio romano, nacque e dimorò»).