1 marzo 2001
Pompeo Stefano, di anni 11. Siciliano, studente della prima media, socievole, «buono come il pane», una passione per i computer, la Juventus e gli animali, non si separava mai da un pastore maremmano di nome Sasha, passava i pomeriggi in chiesa o giocando per strada con gli amici, sognava un viaggio «in continente» o magari in Egitto
Pompeo Stefano, di anni 11. Siciliano, studente della prima media, socievole, «buono come il pane», una passione per i computer, la Juventus e gli animali, non si separava mai da un pastore maremmano di nome Sasha, passava i pomeriggi in chiesa o giocando per strada con gli amici, sognava un viaggio «in continente» o magari in Egitto. Viveva con il padre Giuseppe, macellaio e allevatore di anni 38, la madre Carmela, di anni 34, e i due fratelli, in un appartamento al terzo piano di un palazzone di periferia, alle pareti angeli di terracotta, fotografie di cresime e matrimoni di famiglia. Mercoledì pomeriggio suo padre, invitato in una miniera abbandonata dall’imprenditore Carmelo Cusumano detto ’zu Pè, 65 anni, per sgozzare un maiale e fare una «bella mangiata» in compagnia, lo trovò che giocava a palla con l’amico Angelino e gli propose di partecipare alla gita. A un certo punto qualcuno si accorse che mancava il pane, il più giovane del gruppo, Enzo Quaranta, di anni 29, si offrì di andarlo a comprare, il Cusumano gli prestò la sua Toyota e Stefano, che non era mai salito su un fuoristrada, lo pregò di fargli fare un giro. Dopo poche centinaia di metri alcuni killer, che aspettavano la Toyota nascosti dietro ai cespugli, spararono all’impazzata con una pistola e un fucile colpendolo due volte in testa. In una stradina di campagna nei pressi di Favara, provincia di Agrigento, verso le nove di sera di mercoledì 21 aprile.