Claudio Magris, Corriere della Sera, 17/04/1999., 17 aprile 1999
«Nel Giardino Pubblico di Trieste, ai piedi di una statua che raffigura un’Italia seminuda con un’aquila bicipite sulle spalle – simbolo dell’Austria asburgica abbattuta nella prima guerra mondiale e trasformata in una specie di selvaggina prelibata da mettere in pentola – c’è una colomba morta
«Nel Giardino Pubblico di Trieste, ai piedi di una statua che raffigura un’Italia seminuda con un’aquila bicipite sulle spalle – simbolo dell’Austria asburgica abbattuta nella prima guerra mondiale e trasformata in una specie di selvaggina prelibata da mettere in pentola – c’è una colomba morta. distesa, con le zampe all’aria; un occhio gonfio di sangue raggrumato e semiuscito dall’orbita. Sei o sette piccioni sbucano da un cespuglio, si avvicinano saltellando, in fila ordinata; le balzano addosso a turno, uno dopo l’altro, mentre il gruppo sta a guardare, la montano sbattendo freneticamente le ali e aprendo e richiudendo continuamente il becco. Lo stupro necrofilo dura ogni volta pochissimo, evidentemente i colombi sono amatori rapidi; in compenso qualcuno si rimette in coda e dopo pochi secondi, quando è di nuovo il suo momento, ripete l’operazione. C’è qualche piccione che, prima di smontare dal corpo sempre più stropicciato e informe, allunga e piega il collo e dà un paio di violente beccate alla testa immobile e calpestata, colpendo soprattutto l’occhio ferito e spappolandolo ulteriormente. Dopo alcuni minuti, il gruppo si allontana, sparisce fra le viole del pensiero. Un piccione resta indietro, si ferma e fissa sospettoso con un occhio dilatato, rigido come quello del cadavere».