Mauro Covacich, Panorama, 08/07/1999, 8 luglio 1999
Sono appoggiato al muretto da dove si sono buttati Evasio e Vera. Erano coetanei. Per quindici anni hanno costruito insieme le loro giornate
Sono appoggiato al muretto da dove si sono buttati Evasio e Vera. Erano coetanei. Per quindici anni hanno costruito insieme le loro giornate. A sessantotto, prima che il cancro avesse ragione di lei, si sono suicidati. Se tu te ne vai io che faccio? Come posso reggere da solo l’impalcatura di questa assurdità? Abbiamo impiegato un’esistenza a tirarla su, e adesso tu credi che me ne resterò qui senza di te? Il muretto è di quelli larghi, comodi, dove ci si siede per mangiare i gelati. in mezzo a palazzi onesti, decorosi, intonati a Sanpierdarena, il quartiere proletario di Ponente, la Manchester di Genova, tutta gente operaia che si è guadagnata un briciolo di benessere e un marciapiedi pulito con la dignità del proprio lavoro. Non si sa a che ora sono arrivati a questo muretto Evasio e Vera. Si sa che il rumore dei loro corpi in frantumi è stato avvertito alle dieci e mezzo di sera. Il rumore doppio di due corpi, precipitati senza un grido e atterrati ancora uniti sulla rampa del garage dieci metri più sotto. Si sa che fino alle otto la coppia era a far visita alla sorella di lui, ricoverata all’ospedale di Villa Scassi, proprio sull’altro lato della strada. Che cosa abbiano fatto e si siano detti Evasio e Vera in quel lasso di tempo appartiene al progetto esistenziale che i due si sono portati con sé nel tuffo.