Mauro Covacich, Panorama, 08/07/1999, 8 luglio 1999
Guardo il muretto e penso al suicidio di Evasio e Vera come a una forma estrema di eutanasia attiva
Guardo il muretto e penso al suicidio di Evasio e Vera come a una forma estrema di eutanasia attiva. La vita ci ha giocati, la morte sarà dolce, ci verrà incontro a cento all’ora con la rampa del garage. Dolce e rapida. Li vedo vagare silenziosi per le vie del quartiere, come li hanno visti alcuni inquilini del condominio che sovrasta il muretto. Aspettano che faccia buio, che anche gli ultimi ritardatari tornino a casa, rientrino dai balconi per guardare la tv. una domenica di fine giugno, di quelle che non finiscono mai. In giro non c’è più nessuno. L’edicola, le pompe funebri, il Bar Kent, tutto spento. Solo la pizzeria al taglio lavora. Chissà quante volte ci saranno passati davanti Evasio e Vera, a guardare quelli che mangiano o quelli che si portano i cartoni a casa. Loro, la cena, l’avevano già preparata prima di uscire, ma a Pontedecimo, ormai hanno deciso, non ci andranno mai più. Tornano alla macchina, ci lasciano dentro gli orologi, gli anelli, i documenti e vanno a sedersi sul muretto come i due innamorati che sono. Evasio è un uomo sano di sessantotto anni. Ha parenti, amici, una casetta gialla, una Uno blu. Potrebbe godersi la pensione ancora per un bel po’. Deve scegliere se tradire Vera o la vita. Ma in realtà sta già guardando giù in basso, tra il cassonetto e il lampione verde, dove tra un attimo finirà con la sua compagna.