Carlo Vulpio, Corriere della Sera, 01/10/1999, 1 ottobre 1999
Sì, sono stato io a uccidere la dottoressa Maria Monteduro. Non me lo perdonerò mai. E so che non mi verrà mai perdonato da nessuno
Sì, sono stato io a uccidere la dottoressa Maria Monteduro. Non me lo perdonerò mai. E so che non mi verrà mai perdonato da nessuno. Ma per favore, credetemi, non volevo ucciderla... Non mi rendevo conto fino in fondo di quel che stavo facendo. Ero una pianta che vegetava, una larva, un essere inutile che poco prima s’era riempito di cocaina e di eroina fin sopra i capelli. Mi sentivo solo, quella notte, e pioveva, pioveva...». Davanti al suo avvocato, Luigi Piccinni, nel supercarcere leccese di Borgo San Nicola, Giovanni Pucci, 30 anni, confessa l’omicidio di Maria Monteduro, 40. La sua confessione acquisterà valore processuale in serata, durante l’interrogatorio condotto dal pubblico ministero Leonardo Leone de Castris. In carcere, Giovanni Pucci appare prostrato, senza il fiato necessario a spiccicare parola, immiserito nel corpo dalla t-shirt verdognola, i jeans scoloriti, le scarpe da ginnastica senza lacci (è una misura di sicurezza). Eppure, sembra quasi voler gridare subito la propria colpevolezza e liberarsi la coscienza dal peso del delitto commesso nella notte tra il 24 e 25 aprile scorsi, quando abbandonò il corpo di Maria Monteduro nella campagna fra Castrignano (il paese in cui Pucci viveva con la madre) e Gagliano del Capo (il paese della dottoressa, che lì prestava servizio notturno di guardia medica).