Luca Lippera, Il Messaggero, 15/10/1999, 15 ottobre 1999
Lei guidava l’automobile... «Sì. Ma non mi sento né un pirata della strada né, tantomeno, un’assassina
Lei guidava l’automobile... «Sì. Ma non mi sento né un pirata della strada né, tantomeno, un’assassina. Mi sento in colpa per essermi trovata lì proprio in quel momento: il destino. Se fossi passata un attimo dopo, se fosse passato un secondo dopo lui, non sarebbe successo. Ho fatto il possibile. Ma, per evitare la tragedia, avrei dovuto avere il potere di scomparire». Ricorda tutto? «Ce l’ho davanti agli occhi in ogni momento. Tornavo dal lavoro. Attraversavo piazza Verbano e volevo girare a destra verso via Topino. Il traffico scorreva. Ho messo la freccia. Sarò andata a trenta, quaranta all’ora. D’altronde i vigili, chiedetelo, hanno trovato la macchina con il cambio innestato in seconda. Alla mia destra non c’era nessuno». Invece c’era... «No, non quando ho guardato. Il motorino è comparso, lungo la fiancata dell’auto, all’improvviso. L’ho visto sbilanciarsi. C’è stato un urto con la macchina. Ma, incredibile, il ragazzo, invece di cadere di fianco, è finito sul mio cofano e poi è rotolato davanti alle ruote. Per quanto abbia frenato, la macchina l’ha scavalcato. Se fossi un pirata, se avessi accelerato, magari il cofano, con più velocità, l’avrebbe sbalzato via». Purtroppo non è andata così. «Già, lui è morto. C’è una famiglia distrutta e ci sono io che non dormo più. So che per me il dolore, prima o poi, passerà. Ma non riesco ad immaginare la mamma di lui. Ci sto malissimo. Non riesco a sopportarlo».