7 marzo 2001
Dido Emilio, di anni 91, italoamericano, cieco dall’età di due anni. Sedicente psicopatologo, biologo e immunologo, diplomato negli Stati Uniti, mai riconosciuto dall’Ordine dei medici in Italia, tredici anni fa aveva fondato una Casa di cura con annesso studio psichiatrico alla Serpentara Due, quartiere Nuovo Salario, Roma
Dido Emilio, di anni 91, italoamericano, cieco dall’età di due anni. Sedicente psicopatologo, biologo e immunologo, diplomato negli Stati Uniti, mai riconosciuto dall’Ordine dei medici in Italia, tredici anni fa aveva fondato una Casa di cura con annesso studio psichiatrico alla Serpentara Due, quartiere Nuovo Salario, Roma. Fervente religioso, una passione per Padre Pio, in suo onore aveva pure fondato l’associazione ”Padre Pio and friends”. Esperto di medicina alternativa, credeva soprattutto nel valore terapeutico del magnetismo e dell’acqua benedetta: s’era perciò inventato ”l’acqua magnetizzata”, che, insieme alla sua abilità di pianista, lo aveva reso noto in tutto il quartiere. Sua moglie, Di Berti Maria Luisa detta Marisa, di anni 72, ex infermiera, non lo lasciava mai solo. Dal 1995 alla primavera scorsa il Dido aveva avuto in cura un Fratazzi Cesare, di anni 74, ricco imprenditore edile in pensione, due matrimoni e due figli, una fissazione per donne e sesso. Originario di Frosinone, il Fratazzi abitava tra Padova, dove viveva con la seconda moglie e il figlio adolescente, e Roma, dove andava per la terapia e gli incontri col figlio più grande. Poiché i disturbi mentali lo avevano colpito d’improvviso, era convinto d’avere il malocchio e odiava ferocemente il Dido perché s’era fatto dare 275 milioni ma non aveva saputo guarirlo. Da tempo meditava vendetta. Lunedì, parrucca nera, gonna e sandali femminili, prese a distribuire santini di Padre Pio per le strade adiacenti allo studio del Dido. Alle 8 e 30 di mercoledì, sempre vestito da donna, si piazzò ad aspettarlo seduto su una fioriera proprio di fronte al cancello d’ingresso, in una mano il rosario, nell’altra la pistola. Lo freddò con un colpo secco due ore dopo, quando lui uscì con la moglie. Poi corse dietro alla Di Berti che s’era rifugiata dentro al mobilificio ”Punto Risparmio”. L’ammazzò, tra materassi e librerie, dietro la colonna dove s’era nascosta. S’uccise subito dopo. Nella tasca dei pantaloni, una lettera: «Dido, mi hai curato, è vero. Ma mi sono ammalato ancora di più. Più mi curi più mi togli i soldi, sei un malefico. Mi hai succhiato il sangue».