Enrico Franceschini, la Repubblica, 20/11/2000., 20 novembre 2000
Tania, 17 anni, occhi verdi, pallida e affilata, ebrea di Odessa immigrata in Israele cinque anni fa, vive con la famiglia ad Ashkelon, sud di Tel Aviv
Tania, 17 anni, occhi verdi, pallida e affilata, ebrea di Odessa immigrata in Israele cinque anni fa, vive con la famiglia ad Ashkelon, sud di Tel Aviv. D’inverno studia, d’estate fa la cameriera a Gerusalemme. Sei mesi fa ha conosciuto Murat, 21 anni, occhioni scuri e muscoli, arabo musulmano, una casa coi genitori a Gerusalemme est, cameriere part-time in attesa di finire la scuola alberghiera. Si sono messi insieme al primo appuntamento, l’israeliana e il palestinese, guardando il tramonto sulla spiaggia. Murat, jeans, polo e occhiali da sole, ha un documento per entrare in Israele e va spesso a trovarla. Poiché parla «benino» l’ebraico, per i genitori di Tania s’è inventato d’essere un arabo-israeliano di Haifa, discendente dei palestinesi rimasti in Israele dopo la guerra del ’48. Ci hanno creduto, non accetterebbero di più. La famiglia di Murat, padre, madre e cinque fratelli, sa tutto e disapprova. Indifferenti a minacce e pareri avversi (contrari anche gli amici), sicuri di volersi sposare («nessuno ce lo impedirà»), hanno già scelto quale religione trasmettere ai loro figli: «Nessuna, non siamo religiosi».