Ermanno Bencivenga su La Stampa del 12/3/2001 a pagina 16., 12 marzo 2001
Per il filosofo Ermanno Bencivenga il male si può intendere in due modi: "Il primo ne fa una realtà positiva, qualcosa di sostanziale che si aggiunge a tutto quel che c’è, a tutto quel che siamo
Per il filosofo Ermanno Bencivenga il male si può intendere in due modi: "Il primo ne fa una realtà positiva, qualcosa di sostanziale che si aggiunge a tutto quel che c’è, a tutto quel che siamo. Ci sono la nostra intelligenza, la nostra forza fisica, la storia dei nostri successi e delle nostre sconfitte e poi c’è la nostra cattiveria. Possiamo chiamare iin causa un essere sovrannaturale (demonico) che ci tenta, uno squilibrio genetico o culturale, un episodio infelice della nostra esperienza. Forse non ce ne eravamo mai accorti, ma quell’inappuntabile vicino che ci salutava con cortesia ogni giorno, quella giovinetta sempre persa in dolci conversari con il fidanzato, quell’oscuro e solerte funzionario erano caduti sotto l’influsso del Maligno. La seconda concezione del male è quella a cui mi sento più vicino. La ritrovo (fra gli altri) in Plotino, Agostino e Kant. In base a essa il male, letteralmente, non è: è una mancanza. La banalità dei motivi per cui un assassino viola le sue vittime, l’indifferenza con cui dopo il crimine se ne va in discoteca non richiedono alcuna spiegazione: è la natura che fa il suo corso. Di fronte al male così concepito, è il bene che va spiegato, altrimenti il male si affermerà per inerzia. Il mondo è suo in partenza; siamo noi che dobbiamo guadagnarcelo". (Ermanno Bencivenga).