Diario, 23/02/2001, 23 febbraio 2001
Li ho visti una prima volta al Parco Ducale. Nella panchina di fronte a me, dall’altra parte del viale
Li ho visti una prima volta al Parco Ducale. Nella panchina di fronte a me, dall’altra parte del viale. Lui sulla panchina, lei accoccovata in grembo a lui, faccia contro faccia, aggrappati come due koala, immobili. Una mano di lui che scorre pigra lungo la schiena di lei. Lei con la testa posata sulla spalla di lui, Immobili; nessuna fame di baci; nessun bisogno di guardarsi, ammirarsi, occhi negli occhi, divorarsi; nessuna contrazione o rilasciamento di muscoli, a indicare un desiderio che cresce, e che in pubblico non potrebbe soddisfarsi, nemmeno in un furtivo dry-fucking. Niente; solo un perdersi nel caldetto dell’altro; un’infelicità senza desideri condivisa per vicinanza e contatto; una voglia languida di tornare nell’utero, uno qualsiasi. Diciotto anni lui, sedici lei, forse, e carini, tutti e due. L’opposto estremo sono Tristano e Isotta, consapevoli fino allo spasimo dell’atroce desiderio di non avere più desideri: «Così siamo morti per vivere uniti, senza fine, senza risveglio, senza sospetto, innominati, eternamente insieme». Ma questi, neanche han vissuto. Un’infanzia di giocattoli, peluche, plastica, scuola, che oggi marinano, per starsene al caldetto, in quell’indistinto, innominato desiderio di nulla. E due minuscoli dettagli, ma enormi per senso: lui ha le cuffiette del walkman nelle orecchie; lei non ha mai smesso di masticare chewing-gum. Un paio di settimane dopo, passando dalla piazzetta che sta dietro il Battistero, dove di solito ci sono piccole greggi di ragazzini che fumano canne - è un sabato mattina e c’è molta poca gente in giro - li rivedo. O meglio, da lontano vedo lui che molla calci e sberle a qualcosa che piange e urla. Lui che grida, viola in faccia: «Troia, l’hai guardato puttana, ti ho visto». Botte frenetiche, ormai quasi già furia omicida. Svoltando l’angolo del Battistero vedo anche l’oggetto dell’odio. lei, che piange e implora, ma non fa niente, né per difendersi né per scappare. Seduti sui gradini, a guardare, un gruppetto d’amici, quattro ragazzi e due ragazzine, anche. Nessuno interviene; guardano in silenzio. Lei che continua a prender botte, lui che le molla calcioni in pancia; lei che cade, col naso ridotto una polpetta, e tanto sangue che ne cola; lui che vedendola in terra comincia a prenderla a calci nelle costole. E gli amici, impassibili. Mi guardo in giro per vedere se c’è qualcuno che mi aiuti. Nessuno. Mi faccio coraggio e intervengo: «Ehi, smettila. E voi, separateli, no?!». Lui continua coi calci e con parole che sono calci all’anima di quel povero straccio di bambina che sta per terra e ormai sembra una bambola rotta. Sono gli amici che rispondono. Un paio che si alza in piedi mi viene incontro minaccioso: «Fatti i cazzi tuoi, cammina, se non vuoi prenderle anche tu». Corro verso via Cavour per vedere se c’è una macchina della polizia. Trovo un vigile; corriamo, ma quando arriviamo non c’è più nessuno. Solo qualche goccia di sangue sull’acciottolato. Si amavano forse così i ”fidanzatini” di Cinisello Balsamo?