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 2001  marzo 18 Domenica calendario

S. GIORGIO IN SALICI

(Verona) - Si fa presto a dire: prima gli italiani, dopo gli extracomunitari. «Il discorso, in astratto, potrebbe funzionare; la realtà è un’ altra cosa. Nella mia azienda agricola, se non impiegassi lavoratori immigrati, dovrei chiudere domani», dice il conte Federico Cavallari Guarienti. «Va così da un decennio - spiega -. L’ innesto di manodopera straniera è stato graduale, ma oggi il rapporto è di 40 a 1. L’ uno è l’italiano, naturalmente. Attorniato da istriani, kosovari, tunisini, brasiliani, cinesi. Per me, hanno lavorato anche marocchini, ghanesi, indiani. Problemi gravi non ne ho mai avuti. Se si eccettua un episodio da Far West in campagna, quando due marocchini tentarono di accoltellarsi. In tutta sincerità, preferisco gli extracomunitari ai nostri. Ogni volta che mi rivolgo al collocamento, sono terrorizzato all’ idea che mi spediscano in azienda, come stagionale, qualche studente italiano. Ma ormai non succede più».
Sulle colline moreniche del Garda si stende la proprietà agricola - tagliata in due dall’ asfalto dell’ autostrada Milano-Venezia - della famiglia Cavallari Guarienti. Cento ettari coltivati a vigneti (da cui si ottengono alcuni doc: dal Bardolino al Bianco di Custoza), cereali, soia. C’ è anche un allevamento di tacchini. E il prossimo mese verrà aperto un agriturismo. La casa padronale - durante il Medioevo un convento di suore - sorge ai margini di San Giorgio in Salici, frazione di Sona. «Ai nostri agricoltori garantiamo una casa, ad affitto zero - racconta il conte Federico -. Stare sul posto per chi lavora nei campi è essenziale. Uno dei miei operai stranieri, con i risparmi, ha già comprato un appartamento. Che affitta, mentre lui saggiamente continua a vivere in tenuta».
Lo stipendio? «Sfiora i due milioni». Federico Cavallari Guarienti, presidente dei 6 Consorzi doc del Veronese, osserva: «C’ è chi continua a sostenere che gli extracomunitari tolgono lavoro agli italiani. Nulla di più fuorviante. In alcuni settori impiegare giovani è un’ utopia. Non a caso, l’italiano del mio gruppo è un contadino sessantenne. Altrimenti, gli unici disposti, si fa per dire, a sudare nei campi, durante la stagione del raccolto o della vendemmia, sarebbero gli studenti, i diplomati, i laureati, in attesa di un "vero" lavoro. Adesso neppure loro. Ma in passato, al riguardo, ho avuto amare sorprese». Cioè? «Gli stagionali arrivavano in azienda senza avere la minima cognizione di ciò che li aspettasse. Passi. Applicandosi, s’impara. Ma, ogni due giorni, c’era qualcuno che chiedeva di assentarsi, causa partecipazione a un concorso statale. Infine, se i nostri lavoravano in tandem con gli extracomunitari, pretendevano di caricare sul groppone degli stranieri le mansioni più faticose. Conclusione: con gli immigrati le cose vanno decisamente meglio». A quanto pare, se n’ è convinto anche l’ unico dipendente italiano, Emilio Oliosi, ex coltivatore diretto di Castelnuovo del Garda. «Certo - ammette - ho dovuto conoscerli da vicino, per accantonare i pregiudizi che avevo nei loro confronti. Ma adesso gli immigrati sono i compagni di lavoro migliori».