Anna Oliviero Ferraris, La Stampa-Tuttoscienze, 22/02/1995, 22 febbraio 1995
Ma che cosa induce a lanciarsi su un percorso tortuoso e scosceso a folle velocità e a volere ripetere molte volte la stessa esperienza? Una possibile risposta è di natura neurochimica
Ma che cosa induce a lanciarsi su un percorso tortuoso e scosceso a folle velocità e a volere ripetere molte volte la stessa esperienza? Una possibile risposta è di natura neurochimica. Molti di coloro che amano le giostre che salgono o scendono a grande velocità e che sviluppano quasi una forma di dipendenza nei confronti di questo divertimento, hanno un livello piuttosto basso di monoaminossidasi (MAO) nel cervello. Questi enzimi, che regolano il metabolismo delle amine cerebrali, agiscono sull’umore e sull’attivazione, e si ritiene che coloro che hanno una scarsa attività enzimica cerchino di compensare questa mancanza innalzando il loro livello di attivazione artificialmente, attraverso delle modifiche dell’ambiente interno, cioè del loro cervello. Un’altra possibile ragione è legata alla percezione del pericolo. Lo stato di emergenza comporta un innalzamento di un’altra componente chimica del cervello, le endorfine, che si producono quando proviamo stress o dolore per ridurre gli effetti di queste condizioni. Al termine della corsa, il passeggero ha un maggior livello di queste sostanze chimiche nel cervello e si sente bene: è il senso di sollievo per essere ancora vivo! Anche l’anoressia nervosa, le maratone e il masochismo sono legati a dinamiche simili. E naturalmente c’e’ l’aspetto del brivido a cui contribuiscono svariati fattori. Oltre alla percezione del rischio e della mancanza di controllo (si è completamente in balia del meccanismo), attirano anche l’imprevedibilità del percorso e il senso di incertezza che ne deriva.