Il Giornale di sabato 17 marzo 2001, 17 marzo 2001
Nelle prime pagine dell’Ulysses di Joyce, Stephen Dedalus, discutendo sulla spiaggia con il preside della scuola dove egli insegna, pronunzia una terribile sentenza: "La Storia è un incubo dal quale cerco di svegliarmi"
Nelle prime pagine dell’Ulysses di Joyce, Stephen Dedalus, discutendo sulla spiaggia con il preside della scuola dove egli insegna, pronunzia una terribile sentenza: "La Storia è un incubo dal quale cerco di svegliarmi". Evidentemente Dedalus è un "umano, troppo umano" - per dirla con Netzsche - , cioé uno di quegli uomini ipersensibili che con conoscono la comoda arte della dimenticanza, e che hanno sempre presenti tutte le ingiustizie, le violenze, le sventure del mondo in ogni tempo, ivi compresi i massacri non solo di uomini, ma anche di animali soggetti alla violenza gratuita e al buon appetito dei cosiddetti "signori del creato" che gli uomini stessi sarebbero. Dedalus "sente" insomma simultaneamente tutto l’infinito Weltschmerz, il dolore del mondo, al contrario dell’altro protagonista del mirabile romanzo joyciano, Leopold Bloom che egoisticamente, ma forse saggiamente, sa godere dei buoni rognoni arrostiti che sua moglie Molly gli imbandisce, e persino del piacere di una liberatoria defecazione. Mi viene in mente, in tutt’altro contesto, una distinzione degli storici in due categorie, fatta da Toynbee - ma posso sbagliare - : "i paracadutisti" che narrano la storia esaminandola in vasti scorci dall’alto, e i "cercatori di tartufi", che, invece, ventre a terra ne scrutano da vicino i dettagli più significativi. Luca Canali