Jean Ziegler "La Svizzera, líoro e i morti. I banchieri di Hitler", Mondadori 1997., 21 marzo 2001
Furto. «Quando il figlio, la figlia, la sorella o il cugino di una vittima del genocidio nazista che aveva aperto un conto di deposito presso una banca svizzera si presenta allo sportello e chiede la restituzione dei fondi della sua famiglia, l’impiegato chiede per prima cosa al richiedente se ha un certificato di decesso del supposto titolare del conto
Furto. «Quando il figlio, la figlia, la sorella o il cugino di una vittima del genocidio nazista che aveva aperto un conto di deposito presso una banca svizzera si presenta allo sportello e chiede la restituzione dei fondi della sua famiglia, l’impiegato chiede per prima cosa al richiedente se ha un certificato di decesso del supposto titolare del conto. Si direbbe che l’addetto allo sportello non voglia ficcarsi in testa che le squadre delle SS e di polizia, gli sbirri della Gestapo, i comandanti di Auschwitz, Maïdanek, Treblinka, gli assassini delle SS nei ghetti hanno ben raramente emesso certificati di decesso per le loro vittime. Ogni tanto un discendente riesce a procurarsi una dichiarazione di morte presunta legalmente valida, ma l’impiegato di banca non si ritiene ancora soddisfatto. A questo punto dice: ”Ora mi dovrebbe provare, per favore, che Lei è l’unico discendente vivente della Sua famiglia”. Il creditore sopravvissuto non ha alcuna via d’uscita: dovrebbe riuscire a procurarsi un certificato individuale di morte valevole per il diritto svizzero per ciascuno dei membri della sua famiglia che sono stati assassinati. Nel frattempo il denaro resta sempre in banca dove - Dio sia lodato - accumula ogni anno congrui interessi che la banca incassa regolarmente, come ha fatto tutti questi anni».