la Repubblica 2001, 26 marzo 2001
L’11
marzo scorso il subcomandante Marcos ha annunciato che il suo movimento abbandonerà le armi e siederà al tavolo delle trattative per i diritti degli indios messicani: «Noi siamo cresciuti dentro un esercito, quello zapatista di liberazione nazionale. La struttura è militare. Il subcomandante Marcos è il capo militare di un esercito. In ogni caso il nostro esercito è un esercito particolare perché sta proponendo di smettere di esserlo. Un militare è una persona assurda che ha bisogno di ricorrere alle armi per per convincere l’altro delle sue ragioni. In questo senso il movimento non ha futuro se il futuro è militare... Arrivare al potere e insediarsi come un esercito rivoluzionario sarebbe la cosa peggiore che potrebbe accaderci». Figlio di due maestri elementari, Marcos ricorda la sua infanzia: «Nella mia famiglia la parola aveva un valore molto particolare. Il modo di affacciarsi al mondo era attraverso il linguaggio. Non ho imparato a leggere a scuola ma leggendo i giornali. Mio padre e mia madre mi hanno insegnato a leggere libri da piccolissimo. Credo che grazie a ciò, io e i miei fratelli, abbiamo acquisito la coscienza del linguaggio come una forma non solo di comunicare ma anche di costruire qualcosa. Un piacere più che un dovere».