2 aprile 2001
I lettori del "Foglio" hanno letto sul numero di mercoledì scorso la replica del professor Carlo Zaccagnini a Baniamino Placido sulla questione se le lettere dell’alfabeto ebraico siano a 22 (tesi Placido) o 23 (tesi Zaccagnini)
I lettori del "Foglio" hanno letto sul numero di mercoledì scorso la replica del professor Carlo Zaccagnini a Baniamino Placido sulla questione se le lettere dell’alfabeto ebraico siano a 22 (tesi Placido) o 23 (tesi Zaccagnini). Placido ha risposto a questa replica su "la Repubblica" di giovedì: «anche laddove le due varianti di quella benedetta consonante ebraica sono distinte, per ragioni di comodo, pur sempre di un’unica consonante si tratta. Contraddistinta difatti da un solo riferimento numerico: la "vis numerica" è 300; e da un solo riferimento pittografico: il dente [...] E’ così dalla notte dei tempi. E’ così dappertutto» (seguono citazioni di Spinoza e dell’"Orxford Companion to the Bible" dove a pagina 271 si scrive che le lettere dell’ebraico sono "twenty-two"). Giorgio Ierano, a sua volta, sull’ultimo "Panorama" (quello in edicola: numero 41) ha intervistato altri accademici: Riccardo Contini, Alessandro Catastini, Giulio Busi. Costoro si schierano con Zaccagnini. Giulio Busi, in particolare, scrive che «se si contano le realizzazioni grafiche di certi fonemi consonantici in fine di parola si arriva a ventisette». Casatini aggiunge che se si considera l’alfabeto ebraico normalizzato dei Masoreti si arriva a ventinove. Un Andrea di Genova dal cognome illegibile, lettore del "Foglio dei Fogli" (che nel numero scorso ha ripubblicato i primi tre interventi sulla questione), ci ha fatto pervenire via fax una pagina della grammatica ebraica pubblicata dalla Marietti da cui risulta che hanno ragione sia Placido che Zaccagnini. Infine il professor Busi chiosa sul numero citato di "Panorama": «La qabbalah insegna che quello delle lettere è un mistero. Il loro moltiplicarsi riflette il frammentarsi del reale, il mistero stesso della creazione».