Marianna Aprile, 3 aprile 2001
Le strade della Roma del I secolo d.C. erano piene di rifiuti e di detriti. Gli "scrutarii" (letteralmente: investigatori) vi frugavano nella speranza di trovare frammenti di marmo, lastre di travertino e tufo utili per l’edilizia
Le strade della Roma del I secolo d.C. erano piene di rifiuti e di detriti. Gli "scrutarii" (letteralmente: investigatori) vi frugavano nella speranza di trovare frammenti di marmo, lastre di travertino e tufo utili per l’edilizia. Venivano riutilizzati anche i rifiuti metallici, allora molto preziosi. Le anfore, invece, una volta danneggiate venivano usate per creare uno strato drenante nel terreno, oppure per le fondamenta delle case. Le anfore e i vasi più spessi venivano raccolti e accumulati dai "curatores" del porto fluviale del Tevere. Dai tempi di Augusto (e per i tre secoli successivi) tale deposito crebbe così tanto da formare una collina artificiale, il Monte Testaccio ("Mons Testaceus", ovvero Monte dei Cocci). Il vetro, considerato più prezioso, era invece raccolto a domicilio da aziende private di "proxenetae" (detti anche "ambulatores"), che lo scambiavano con oggetti di uso domestico, e veniva poi rivenduto ad artigiani che lo fondevano e plasmavano in nuove forme. Molte delle fonti dell’epoca parlano di un certo Vatinio, calzolaio brutto, storpio e scurrile vissuto in età neroniana, che inventò delle coppe a forma di naso all’epoca di gran moda, realizzate con vetri rotti.