4 aprile 2001
C’è tuttavia un altro problema a complicare il panorama, ed è questo: alla fine del 1996 l’Iri avrà perso altri 2
C’è tuttavia un altro problema a complicare il panorama, ed è questo: alla fine del 1996 l’Iri avrà perso altri 2.900 miliardi. Questa perdita è dovuta a molti fattori, ma il principale è il dissesto dell’Alitalia (un’altra azienda posseduta dall’Iri), per la quale si sono dovuti sborsare quest’anno 1.500 miliardi. In ogni caso, con un capitale di 6.000 miliardi e perdite in corso d’anno per tremila, scatta un articolo del nostro Codice civile (il numero 2446). Questo articolo impone ai soci di una società che abbia perso più di un terzo del suo capitale: o di mettere nuovi soldi (cioè ricapitalizzare) o di abbattere il capitale (cioé dichiarare che il capitale della società non è più di seimila miliardi ma di tremila) oppure fallire. L’Iri non può fallire, pena sanzioni gravissime da parte dell’Unione europea, dato che risulterebbe a quel punto insolvente. E non può neanche abbattere il capitale, per via dei debiti di 23.500 miliardi. I soci dell’Iri dovrebbero dunque mettere soldi nell’Istituto. Ma chi sono i soci dell’Iri? Ce n’è uno solo, il ministero del Tesoro. E dove potrebbe prendere tremila miliardi, il ministero del Tesoro? Dai cittadini, naturalmente: bisognerebbe chiedere al ministro delle Finanze, cioè al governo, di mettere una nuova tassa. Cosa impossibile, e non solo per ragioni politiche (di passata, notiamo che i dodicimila miliardi necessari a salvare dal fallimento il Banco di Napoli sono esattemente l’importo dell’eurotassa che ci verrà chiesta a dicembre).