Jacques Le Goff sul Corriere della Sera del 12/04/01 a pagina 33., 12 aprile 2001
Nel XIII secolo, ogni anno, all’università di Parigi si tenevano conferenze e discussioni aperte al pubblico ("quodlibet") sul riso
Nel XIII secolo, ogni anno, all’università di Parigi si tenevano conferenze e discussioni aperte al pubblico ("quodlibet") sul riso. Durante questi dibattiti si cercava di stabilire se il riso fosse un attributo caratteristico dell’uomo, come sosteneva Aristotele. In tal caso, si pensava, anche Gesù doveva aver riso almeno una volta in vita sua. C’era però chi riteneva che Gesù non potesse essersi abbandonato al riso, e che il ridere fosse in realtà estraneo all’uomo. Entrambe le teorie sono ugualmente rappresentate nei testi degli ecclesiastici dell’epoca. In un primo tempo la Chiesa non seppe come giudicare questo aspetto della vita umana, che pure riteneva pericoloso, e assunse una posizione di rifiuto. Nel corso del XII secolo iniziò a disciplinarlo, classificando modi leciti e illeciti di ridere. Nacquero così i testi degli Scolastici sul riso: uno dei più antichi è del primo grande dottore francescano, Alessandro di Hales, maestro all’Università di Parigi tra il 1220 e il 1240. I testi che Tommaso d’Aquino e Alberto Magno scrissero sul tema ebbero conseguenze dirette sul costume dell’epoca: San Luigi, ad esempio, su consiglio del suo entourage (francescano, domenicano e mendicante) decise di bandire per legge il riso il venerdì.