Giovanni Raboni sul Corriere della Sera del 15/04/01 a pagina 27., 15 aprile 2001
«Non avrei alcuna esitazione a sottoscrivere l’appello di Veronesi se lui stesso non ci avesse ricordato che i segni grafici corrispondenti alle lettere dell’alfabeto "tendono a rappresentare ognuno un suono in una determinata lingua"
«Non avrei alcuna esitazione a sottoscrivere l’appello di Veronesi se lui stesso non ci avesse ricordato che i segni grafici corrispondenti alle lettere dell’alfabeto "tendono a rappresentare ognuno un suono in una determinata lingua". Ebbene, quale suono tenderebbero a rappresentare, una volta messe bene in fila assieme alle altre nel nostro povero alfabeto, le cinque lettere in questione? Per esempio: la j starebbe per la nostra vecchia, desueta i lunga oppure per i suoni, diversissimi l’uno dall’altro - e tutti inesistenti nella nostra lingua - a cui essa corrisponde, rispettivamente, in inglese, in spagnolo, in francese? E quando, dopo la v, ci imbatteremo nella w, a cosa dovremmo pensare: al suono iniziale di Washington o a quello di Wagner? Certamente utile per rintracciare dei nomi in un’enciclopedia o delle parole straniere in un dizionario, l’ammissione al nostro alfabeto delle cinque sorelle sin qui ingiustamente neglette non le farà diventare, foneticamente, delle lettere della nostra lingua. Lo si voglia o no (ma sarà meglio volerlo, per non incrementare ulteriormente le inverosimili pronunce franglesi, anglesche, ispanesi eccetera già tanto diffuse, per esempio, nei nostri telegiornali), esse continueranno a rappresentare volta per volta, parola per parola, i suoni che naturalmente rappresentano in ciascuna delle lingue dove hanno da secoli la loro naturale, legittima cittadinanza» (Giovanni Raboni).