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 2001  maggio 02 Mercoledì calendario

Ero uno squatter, oddio, sempre un po’ borghese e amante delle docce (quando non erano disponibili in loco sopperivano all’uso quelle dei centri d’accoglienza)

Ero uno squatter, oddio, sempre un po’ borghese e amante delle docce (quando non erano disponibili in loco sopperivano all’uso quelle dei centri d’accoglienza). Non sono mai stato amante dei cani e i gatti nelle case occupate si sporcano troppo (poi ci sono i cagnacci che li mordono). Belle le mattine all’alba con le tronchesi: si facevano saltare con un colpo netto le catene delle porte e dentro le case buie e silenziose si scoprivano angoli d’incanto e oggetti-tesoro: che emozione quel cassone di metallo che poi sarebbe diventato una cucina! Si faceva pulizia, si spalancavano le tende per tener lontani i topi e le altre porcherie, poi si sprangavano porte e finestre per tenere a bada gli intrusi. Un compagno telefonava alle radio e ai giornali (sempre i soliti però, quelli di ”movimento”: oggi ci sono i cellulari e l’e-mail ed è tutto diverso). Dopo un po’ arrivava la polizia, batteva alla porta. Tu da dentro li mandavi a quel paese e dicevi quello che si usa dire in questi casi: «Questo è un gesto politico!». Si faceva passare una bandiera da qualche buco e si sperava di resistere almeno quarant’otto ore. Dopo 48 ore non possono mandarti via se non con un’ordinanza del Comune. Poi, se tutto è andato bene, la prima cena d’occupazione con tanto vino. Se tutto era andato male i lividi e l’appuntamento con l’avvocato. Poi ancora: pulire il posto, togliere dalle pareti gli strati antichi di muffa, scovare i fili dell’elettricità e i tubi dell’acqua, aiutati in questo da ragazzi e ragazze pratici della materia che son più di quanti s’immagini. E una volta pronti, con la casa messa a posto e la polizia tenuta lontana, l’angoscioso dilemma di sempre: che fare?