Michele Scozzai, Focus Maggio 1999, 9 maggio 2001
Nel corso della storia l’urina è stata usata come antizanzare, lucidalabbra, detersivo, dentifricio, test di gravidanza, lassativo, medicinale, disinfettante, ecc
Nel corso della storia l’urina è stata usata come antizanzare, lucidalabbra, detersivo, dentifricio, test di gravidanza, lassativo, medicinale, disinfettante, ecc. Nel I secolo a.C. Catullo racconta in uno dei suoi carmi che la pipì serviva a rendere lucidi i denti; gli egizi determinavano il sesso del nascituro innaffiando orzo e grano con l’urina della donna incinta e osservando quale dei due germogliava prima: se fosse stato il grano, sarebbe nato un maschio; i romani credevano che bevendo urina di ragazze adolescenti si evitassero gravidanze indesiderate, mentre quella degli eunuchi, bevuta d’un fiato, era un rimedio contro la sterilità; nel Medioevo, per prevedere il decorso di una malattia si bagnava con l’urina dell’ammalato un’ortica: il paziente sarebbe sopravvissuto solo se la pianta non appassiva; in Spagna, in tempi più recenti, ci si faceva il bagno. L’usanza fu esportata anche in America: alcuni testi raccontano che in Florida e California, fino al 1800 era frequente lavarsi nell’urina. Certe popolazioni dell’Alaska, terminati i pasti, la utilizzavano per lavare le stoviglie e per farvi macerare un’erba secca con la quale sgrassarsi le labbra. Per secoli la pipì è stata impiegata per impastare il pane in assenza di lievito. Nel 1700 si diffuse tra i soldati la consuetudine di urinare in anfratti ricavati nella roccia: una reazione chimica permetteva così il recupero del salnitro, essenziale per produrre polvere da sparo. Fino al secolo scorso era utilizzata come rimedio per decine di malattie. Il medico tedesco Christian Franz Paullini, vissuto alla fine del ’600: «Essa è efficace su lesioni interne ed esterne, guarisce i tumori, agisce come lassativo, elimina la forfora, fa scomparire l’arrossamento dagli occhi, agisce contro le tumefazioni della gola e, se applicata sui polsi, abbassa la febbre». Negli stessi anni un altro studioso, Nicolas Lemery, la raccomandava come antidepressivo.